Maria Turchetto
economia e società - materiali del corso

 

Michel Foucault

Rèsumé des cours 1970-1982*

 

 

1977-1978

Sicurezza, territorio e popolazione

 

Il corso ha trattato la genesi di un sapere politico che andava a porre al centro delle sue preoccupazioni la nozione di popolazione ed i meccanismi suscettibili di assicurarne la regolazione. Passaggio da uno "Stato territoriale" ad uno "Stato della popolazione"? Senza dubbio no, poiché non si tratta di una sostituzione ma piuttosto di uno spostamento di accento e della comparsa di nuovi obiettivi, dunque di nuovi problemi e di nuove tecniche. Per seguire questa genesi, si è preso come filo conduttore la nozione di "governo".

1) Sarebbe necessario fare una ricerca approfondita sulla storia non soltanto della nozione, ma anche delle procedure e dei mezzi messi in opera per assicurare, in una società data, il "governo degli uomini". Da un primo approccio, sembra che, per le società greche e romane, l’esercizio del potere politico non implicasse né il diritto né la possibilità di un "governo" inteso come attività che si occupa di guidare gli individui lungo tutto il corso della loro vita ponendoli sotto l’autorità di una guida responsabile per ciò che essi fanno e per ciò che capita loro. Seguendo le indicazioni fornite da P. Veyne, sembra che l’idea di un sovrano-pastore, di un re o un magistrato-pastore del gregge umano non si trovi quasi, salvo che nei testi greci arcaici o presso certi autori poco numerosi dell’epoca imperiale. Per contro, la metafora del pastore che vigila sulle sue pecore è accettata quando si tratta di caratterizzare l’attività del pedagogo, del medico, del maestro di ginnastica. L’analisi del Politico confermerebbe questa ipotesi.

E' in Oriente che il tema del potere pastorale ha acquistato la sua ampiezza - e soprattutto nella società ebraica. Un certo numero di tratti caratterizza questo tema: il potere del pastore si esercita più su una moltitudine che si sposta verso una meta che su un territorio fisso; il suo ruolo è quello di fornire al gregge la sua sussistenza, di vigilare quotidianamente su di esso e di assicurare la sua salvezza; infine, si tratta di un potere che individualizza accordando premi, grazie ad un paradosso essenziale, tanto a una sola delle pecore quanto al gregge tutto intero. E' questo tipo di potere che è stato introdotto in Occidente dal Cristianesimo e che ha assunto una forma istituzionale nell’ufficio pastorale ecclesiastico: il governo delle anime si costituisce nella chiesa cristiana come una attività centrale e sapiente, indispensabile alla salvezza di tutti e di ciascuno.

Ora, i secoli XV e XVI vedono aprirsi e svilupparsi una crisi generale dell’ufficio pastorale. Non solo e non tanto come un rigetto dell’istituzione pastorale, ma in una forma molto più complessa: ricerca di altre modalità (e non necessariamente meno vincolanti) di direzione spirituale e di nuovi tipi di rapporti tra il pastore ed il gregge; ma anche ricerche sul modo di governare e di governarsi, di condurre e di condursi, accompagnano, alla fine del feudalesimo, la nascita di nuove forme di rapporti economici e sociali e le nuove strutturazioni politiche.

2) E' stata successivamente analizzata, sotto alcuni dei suoi aspetti, la formazione di una “governamentalità” politica: ovvero la maniera in cui l’esercizio del potere sovrano ha implicato, in modo sempre più marcato, la direzione di un insieme di individui. Questa trasformazione importante si segnala nelle differenti "arti di governare" che sono state redatte alla fine del XVI secolo e nella prima metà del XVII. Essa è legata senza dubbio all'emergenza della "ragion di Stato". Si passa da un'arte di governare i cui principi erano presi a prestito dalle virtù tradizionali (saggezza, giustizia, liberalità, rispetto delle leggi divine e dei costumi umani) o dalle abilità comuni (prudenza, decisioni meditate, cura nel circondarsi dei migliori consiglieri) a un'arte di governare la cui razionalità ha i suoi principi ed il suo dominio di applicazione specifico nello Stato. La "ragion di Stato" non è l’imperativo in nome del quale si possono o si devono scompigliare tutte le altre regole; è la nuova matrice di razionalità secondo la quale il Principe deve esercitare la sua sovranità governando gli uomini. Si è lontani dalla virtù del sovrano giusto, lontani anche dalla virtù dell’eroe di Machiavelli.

Lo sviluppo della ragion di Stato è correlata al venir meno del tema imperiale. Roma, alla fine, scompare. Si forma una nuova percezione della storia: non è più polarizzata sulla fine dei tempi e sull'unificazione di tutte le sovranità particolari nell’impero degli ultimi giorni; ora si apre su un tempo indefinito in cui gli Stati devono lottare gli uni contro gli altri per assicurarsi la  sopravvivenza. E, più che i problemi di legittimità di un sovrano su un territorio, ciò che appare importante è la conoscenza e lo sviluppo delle forze di uno Stato: entro uno spazio (insieme europeo e mondiale) di concorrenza statale, molto diverso da quello in cui si affrontavano le rivalità dinastiche, il problema principale è quello di una dinamica delle forze e delle tecniche razionali che permettono di intervenirvi.

Così la ragion di Stato, al di fuori delle teorie che l’hanno formulata e giustificata, prende forma entro due grandi insiemi di sapere e di tecnologia politiche: una tecnologia diplomatico-militare, che consiste nell’assicurare e sviluppare le forze dello Stato attraverso un sistema di alleanze e l’organizzazione di un apparato armato; la ricerca di un equilibrio europeo, che fu uno dei principi conduttori dei trattati di Westfalia, è una conseguenza di questa tecnologia politica. L’altro insieme è costituito dalla "polizia", nel senso che si dava allora a questa parola: ovvero l’insieme dei mezzi necessari a far crescere, dall’interno, le forze dello Stato.

Al punto di congiunzione di queste due grandi tecnologie, e come strumento comune, occorre porre il commercio e la circolazione monetaria fra Stati: è dall’arricchimento grazie al commercio che si attende la possibilità di aumentare la popolazione, la manodopera, la produzione e l’esportazione, e di dotarsi di eserciti forti e numerosi. La coppia popolazione-ricchezza fu, all’epoca del mercantilismo e del cameralismo, l’oggetto privilegiato della nuova ragione di governo.

3) L’elaborazione di questo problema popolazione-ricchezza (sotto i suoi differenti aspetti concreti: fiscalità, carestie, spopolamento, oziosità-mendicità-vagabondaggio) costituisce una delle condizioni della formazione dell’economia politica. Questa si sviluppa quando ci si rende conto che la gestione del rapporto risorse-popolazione non può più passare esaustivamente attraverso un sistema regolamentare e coercitivo che tenderebbe ad aumentare la popolazione per aumentare le risorse. I fisiocratici non sono anti-popolazionisti per contrapposizione ai mercantilisti dell’epoca precedente: pongono in modo diverso il problema della popolazione. Per essi la popolazione non è la semplice somma dei soggetti che abitano un territorio, somma che sarebbe il risultato della volontà di ciascuno di avere bambini o di una legislazione che favorisce o sfavorisce le nascite. E' una variabile dipendente da un certo numero di fattori, che non sono esclusivamente naturali (il sistema delle imposte, l’attività della circolazione, la ripartizione del profitto sono determinanti essenziali del tasso di popolazione). Ma questa dipendenza si può analizzare razionalmente, di sorta che la popolazione appare come "naturalmente" dipendente da molteplici fattori che possono essere artificialmente modificabili.

Così comincia ad apparire, in connessione con la tecnologia della "polizia" ed in correlazione con la nascita della riflessione economica, il problema politico della popolazione. Questa non è concepita come un insieme di soggetti del diritto, né come un insieme di braccia destinate al lavoro; è analizzata come un insieme di elementi che da un lato si ricollegano al regime generale degli esseri viventi (la popolazione appartiene allora alla "specie umana": la nozione, nuova all’epoca, è da distinguere da quella di "genere umano") e dall’altro può dar luogo a interventi concertati (attraverso la mediazione delle leggi, ma anche dei cambiamenti di attitudine, dei modi di fare e di vivere che si possono ottenere grazie alle “campagne”).

 

Il seminario è stato dedicato ad alcuni aspetti di ciò che i tedeschi hanno chiamato, nel XVIII secolo, Polizeiwissenschaft: ovvero, la teoria e l’analisi di tutto "ciò che tende ad affermare ed a aumentare la potenza dello Stato, a fare un buon impiego delle sue forze, a procurare la felicità dei suoi sudditi" e principalmente "il mantenimento dell’ordine e della disciplina, i regolamenti che tendono a rendere loro la vita comoda ed a procurar loro le cose di cui hanno bisogno per sostentarsi".

Si è cercato di mostrare a quali problemi questa "polizia" doveva rispondere; quanto il ruolo che le si assegnava fosse differente da quello che sarà più tardi attribuito all’istituzione poliziesca; quali effetti ci si attendeva da essa per assicurare la crescita dello Stato, e questo in vista di due obbiettivi: permettergli di fissare e di migliorare la sua posizione entro il gioco delle rivalità e delle concorrenze tra Stati europei e garantire l’ordine interno attraverso il "benessere" degli individui. Sviluppo dello Stato della concorrenza (economico-militare), sviluppo dello Stato di Wohlfahrt (ricchezza-tranquillità-felicità): sono questi i due principi che la "polizia", intesa come arte razionale di governare, deve poter coordinare. Essa è concepita in quest’epoca come una sorta di "tecnologia delle forze statali".

Fra i principali oggetti di cui questa tecnologia deve occuparsi c'è la popolazione, nella quale i mercantilisti hanno visto un principio di arricchimento e nella quale tutti riconoscono una componente essenziale della forza degli Stati. E per amministrare questa popolazione, occorre tra le altre cose una politica della salute suscettibile di diminuire la mortalità infantile, di prevenire le epidemie e di fare abbassare i tassi di endemia, di intervenire nelle condizioni di vita, per modificarle ed imporre delle norme (sia che si tratti dell’alimentazione, dell’ambiente o dell’ordinamento delle città) e di assicurare attrezzature mediche sufficienti. Lo sviluppo, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, di ciò che venne chiamato Medizinische Polizei, Hygiène publique, social medicine, deve essere inscritto nel quadro generale di una "biopolitica"; quest’ultima tende a trattare la "popolazione" come un insieme di esseri viventi e coesistenti, che presentano tratti biologici e patologici particolari e che di conseguenza consistono di saperi e di tecniche specifiche. E questa stessa "biopolitica" deve essere compresa a partire da un tema sviluppato fin dal XVII secolo: la gestione delle forze statali.

 

Sono state presentate relazioni sulla nozione di Polizeiwissenschaft (P. Pasquino), sulle campagne di valorizzazione nel XVIII secolo (A. M. Moulin), sull’epidemia di colera a Parigi nel 1832 (F. Delaporte), sulla legislazione degli incidenti sul lavoro e lo sviluppo delle assicurazioni nel XIX secolo (F. Ewald).

 


 

* Il brano è tratto da Michel Foucault, Résumé des cours 1970-1982, a cura del CSOA "Godzilla", Biblioteca Franco Serantini, 1994. Il volume raccoglie le stesure delle sedute seminariali che Foucault, come ogni altro professore del Collège de France, ha dovuto sostenere alla fine di ogni anno accademico per illustrare il lavoro svolto durante l'anno e per introdurre quello dell'anno successivo.