Maria Turchetto
economia e società - materiali del corso

 

Karl Polanyi

Da dove vengono i poveri?*

 

Alla vigilia della maggiore rivoluzione industriale della storia, non si manifestavano segni premonitori. Il capitalismo arrivava senza essere annunziato. Nessuno aveva previsto lo sviluppo di un'industria meccanizzata: essa giunse completamente di sorpresa. Da qualche tempo l'Inghilterra si attendeva una recessione permanente del commercio estero, quando la diga scoppiò ed il vecchio mondo fu spazzato via da un'irrefrenabile ondata verso un'economia planetaria [...] Fino al 1785 l'opinione pubblica inglese non si rendeva conto di alcun cambiamento fondamentale nella vita economica tranne che per un improvviso aumento del commercio e lo sviluppo della miseria.

Da dove vengono i poveri? Questa era la domanda posta da una quantità di pamphlets che s'infoltiva con l'avanzare del secolo. Le cause della miseria e i mezzi per combatterla potevano difficilmente rimanere al di fuori di una letteratura che era ispirata dalla convinzione che soltanto se i mali più evidenti della miseria potevano essere alleviati essa avrebbe cessato di esistere del tutto. Su di un punto sembra esservi stato un accordo generale e cioè sulla grande varietà di cause che spiegavano il fatto di questo aumento. Tra queste era la scarsità di grano, i salari agricoli troppo elevati che causavano alti prezzi dei prodotti alimentari; salari agricoli troppo bassi, salari urbani troppo alti, irregolarità del lavoro nelle città; scomparsa della classe dei piccoli proprietari terrieri, inettitudine del lavoratore urbano per le attività rurali, riluttanza degli agricoltori a pagare salari più elevati, timore da parte dei proprietari che le rendite sarebbero state ridotte se si fossero pagati salari più elevati, incapacità della workhaouse di competere con la macchina, mancanza di economia di tipo familiare, abitazioni disadatte, cattiva alimentazione ed uso di droghe. Alcuni scrittori criticavano un nuovo tipo di bestiame ovino, altri i cavalli che avrebbero dovuto essere sostituiti con i buoi, altri ancora sostenevano che si dovessero mantenere meno cani.

Alcuni sostenevano che i poveri dovessero mangiare di meno o non mangiare pane mentre altri ritenevano che anche il nutrirsi "del pane migliore non avrebbe dovuto rappresentare un'accusa contro di loro". Si sosteneva che il tè danneggiasse la salute di molti poveri mentre la "birra fatta in casa" l'avrebbe ristabilita. Coloro che si sentivano più impegnati da questo argomento sostenevano che il tè non faceva meglio dei liquori più a buon mercato. Quarant'anni dopo Harriet Martineau credeva ancora nel sostenere i vantaggi dell'abbandono dell'abitudine del tè per alleviare la miseria.

E' anche vero che molti scrittori lamentavano gli effetti disgreganti delle recinzioni e che molti altri insistevano sul danno arrecato al lavoro nelle campagne dagli alti e bassi dell'attività manifatturiera, tuttavia prevale nell'insieme l'impressione che il pauperismo fosse considerato un fenomeno sui generis, una malattia sociale causata da una varietà di ragioni la maggior parte delle quali diventava attiva soltanto attraverso il fallimento da parte della Poor Law di impiegare il rimedio giusto.

[...]

Lo sviluppo dell'organizzazione commerciale naturalmente gonfiava l'occupazione, mentre la divisione territoriale del lavoro unita ad acute fluttuazioni del commercio era responsabile del grave sconvolgimento tanto nelle occupazioni urbane che in quelle dei villaggi, la quale dava luogo al rapido aumento della disoccupazione. Le lontane notizie di grossi salari rendevano i poveri insoddisfatti di quelli che l'agricoltura concedeva loro e rendeva poco gradito quel tipo di lavoro perché poco retribuito. Le regioni industriali di quel tempo assomigliavano ad un nuovo paese, quasi un'altra America ed attiravano migliaia di immigranti. L'emigrazione è di solito accompagnata da una considerevole reimmigrazione; che un riflusso del genere verso il villaggio abbia avuto luogo, sembra dimostrato anche dal fatto che non fu notata alcuna diminuzione assoluta della popolazione rurale. Avveniva così uno sconvolgimento cumulativo della popolazione con il fatto che gruppi diversi venivano attratti per periodi variabili nella sfera dell'occupazione commerciale e manifatturiera e quindi erano respinti nel loro ambiente rurale d'origine.

Gran parte del danno sociale arrecato alla campagna inglese nasceva dapprima dagli effetti sconvolgenti del commercio sulla campagna stessa. La rivoluzione nell'agricoltura precedeva decisamente la rivoluzione industriale. Tanto la recinzione dei terreni demaniali che il formarsi di proprietà compatte che accompagnarono il nuovo grande progresso nei metodi dell'agricoltura ebbero un potente effetto di sconvolgimento. La guerra alle aziende familiari, l'assorbimento di orti e terreni a conduzione familiare, la confisca dei diritti sui terreni demaniali privarono l'azienda familiare dei suoi due principali sostegni: i guadagni della famiglia e la sua base agricola. Fino a che l'industria domestica era sostenuta dai vantaggi e dalle possibilità di un orto, di un appezzamento di terreno o di diritti di pascolo, la dipendenza del lavoratore dal reddito monetario non era assoluta; il campicello delle patate o tenere le oche, una mucca o anche un asino sui terreni demaniali, faceva tutta la differenza e i guadagni familiari funzionavano come una specie di assicurazione contro la disoccupazione; la razionalizzazione dell'agricoltura sradicò inevitabilmente il lavoratore e ne minò la sicurezza sociale.

Sulla scena urbana gli effetti del nuovo flagello delle fluttuazioni nell'occupazione erano naturalmente manifesti, l'industria era generalmente considerata come un vicolo cieco dell'occupazione. "Lavoratori oggi pienamente occupati possono trovarsi domani sulla strada a mendicare il pane" scriveva David Davies e aggiungeva: "L'incertezza delle condizioni di lavoro è il peggior risultato di queste innovazioni". "Quando una città impiegata in una manifattura ne viene privata, gli abitanti è come se fossero colti da paralisi e diventano istantaneamente un peso economico per la parrocchia, ma il danno non si esaurisce con quella generazione...". Poiché nel frattempo la divisione del lavoro dà libero sfogo alla sua vendetta: l'artigiano disoccupato ritorna inutilmente al suo villaggio perché "il tessitore non sa fare nulla". La fatale irreversibilità dell'urbanizzazione si impersonava su questo semplice fatto che Adam Smith previde quando descrisse il lavoratore industriale come inferiore intellettualmente al più povero dei contadini potendo infatti quest'ultimo dedicarsi a qualunque lavoro. Tuttavia fino al tempo in cui Adal Smith pubblicò Wealth of Nations la miseria non aumentava in modo allarmante.

Nei due decenni successivi improvvisamente il quadro cambiò. Nel suo Thoughts and Details on Scarcity che Burke presentò a Pitt nel 1795, l'autore ammetteva che nonostante il progresso generale c'era stato un "ultimo ciclo negativo di vent'anni". In realtà nel decennio successivo alla guerra dei sette anni (1763) la disoccupazione aumentò notevolmente come appariva dall'aumento dell'assistenza esterna. Si notava per la prima volta che un boom commerciale era accompagnato da segni di crescente difficoltà per i poveri e questa apparente contraddizione era destinata a divenire per la generazione successiva dell'umanità dell'Occidente il più inquietante fra tutti i fenomeni ricorrenti nella vita sociale. Lo spettro della sovrappopolazione cominciava ad angosciare le menti.

William Townsend avvertiva nella sua Dissertation on the Poor Laws: "Speculazione a parte è un fatto che in Inghilterra vi sono più persone di quante se ne possano nutrire e molte di più di quante ne possiamo utilmente impiegare sotto l'attuale sistema di leggi". Adam Smith nel 1976 rifletteva lo spirito di un tranquillo progresso. Townsend, scrivendo soltanto dieci anni dopo, era già consapevole del maremoto.

 


 

* Il brano è tratto da K. Polanyi, La grande trasformazione, Einaudi 1974, cap. VIII, pp. 113-118.