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CAPITALISMO
Capitalismo:
una parola che non usa più nessuno. Forse il povero Pietro Ingrao
buonanima è stato l’ultimo a scriverla da qualche parte. Morto lui, è
passata di moda. Perfino papa Francesco, che passa per essere comunista,
usa espressioni come “paradigma tecnocratico”. Gli altri dicono “sistema
occidentale” (come se non ci fossero capitalisti a tutte le longitudini
e latitudini!), o “sistema di mercato”, o ancora più genericamente “i
mercati”.
Peccato, capitalismo rendeva così bene l’idea! Perché il
capitalismo non è altro che fare soldi con i soldi. D – D', riassumeva
il vecchio Carlo Marx, formuletta in cui D' è una somma di denaro finale
maggiore della somma iniziale D. Ora, per realizzare questa formula
magica, cioè per fare soldi con i soldi in modo sistematico, ci sono
solo tre sistemi: sfruttare i lavoratori, barare al gioco e prestare a
strozzo.
Sfruttare i lavoratori:
cioè pagarli meno di quanto rendono. Si chiama “capitale industriale” ed
è il metodo classico. È ancora praticato, ma un po’ demodé, perché è
scomodo e ci vuole tempo: tra D e D' ci devi mettere la produzione delle
merci e la loro vendita – che palle! Nei cosiddetti paesi in via di
sviluppo ancora ci marciano, ma nei paesi sviluppati oggi come oggi sono
più in voga gli altri metodi.
Barare al gioco:
si chiama “capitale finanziario”, quello che cerca di realizzare il
capital gain, il guadagno sulla vendita di titoli. Quello che gioca
– barando – in Borsa. Una volta la Borsa era un’istituzione che serviva
a rastrellare capitali da investire attraverso la partecipazione
azionaria, remunerata – quando andava bene – dai dividendi. Oggi invece
è un’enorme bisca, in cui il gioco è truccato dalla cricca dei grandi
investitori: gente che sa tutto in anticipo, che controlla ogni rialzo e
ribasso (spesso senza nemmeno avere la proprietà diretta dei titoli che
manovra), che insomma fa il gioco. Barano, in parole povere.
Prestare a strozzo:
il “capitale bancario”. Una pratica che esiste da quel dì, ma che negli
ultimi tempi è davvero in auge: lo è da quando l’affare d’oro è
diventato prestare i soldi agli Stati anziché alle imprese o ai poveri
cristi. Le imprese falliscono, i poveri cristi crepano, vuoi mettere gli
Stati? Gli stati pagano, spremono con le tasse i cittadini, tagliano le
spese per la salute, chiudono scuole e ospedali e pagano. E se non
pagano ci sono gli organismi internazionali che gli fanno altri prestiti
o che si accollano i crediti più rischiosi. Così lo Stato indebitato si
indebita ancora di più, si indebitano anche altri Stati per rimpinguare
i fondi di salvataggio, e tutti giù a spremere dell’altro i cittadini e
a tagliare dell’altro la spesa sociale. Che pacchia, per il “capitale
bancario”! Che poi è sempre la stessa cricca che controlla tutto, una
piccola cricca di grandi potenti come Goldman Sachs, Nank of America
Merill Lynch, Deutsche Bank, BNP Parisbas, Credit Suisse, JP Morgan
Chase… Si contano sulle dita.
Questo, ragazzi, è il capitalismo. E sarebbe l’ora di tornare a
chiamarlo col suo nome.
Maria Turchetto
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