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EVVIVA L’INFLAZIONE!

Per più di trent’anni il nemico numero uno di quelli che governano l’economia è stata l’inflazione. Più precisamente, una cosa che negli anni ’70 chiamavano con l’impronunciabile nome di stagflazione, ossia inflazione più stagnazione. Perché di per sé l’inflazione, quando c’è crescita economica, è una cosa normale, fisiologica. Sicché, contro questo terribile nemico, da trent’anni ci propinano politiche deflazionistiche: austerità, tagli alla spesa pubblica, abbassamento di salari, stipendi, pensioni. Diciamo che una certa logica, in queste politiche, almeno all’inizio ci poteva anche essere: se si taglia la spesa pubblica e si abbassano i redditi, cala la domanda; se cala la domanda, calano i prezzi; dunque, dalla inflazione (aumento dei prezzi) si passa alla deflazione (diminuzione dei prezzi). Peccato che la domanda sia l’elemento che, oltre i prezzi, spinge gli investimenti, dunque la crescita. Abbattere la domanda per decenni ha portato disinvestimenti, stagnazione, disoccupazione, crisi.
Ma ecco che una bella mattina ci svegliamo e ci dicono che il nemico numero uno è la deflazione e che bisogno a tutti i costi desiderare l’inflazione: almeno del 2% dice Draghi, lanciando anatemi contro le forze oscure che “cospirano a tenere bassa l’inflazione”.
Di fronte a questo brusco cambiamento di fronte i commentatori economici non ci hanno capito più nulla, a giudicare da quel che scrivono. Frasi insensate come questa: “l’inflazione bassa può causare una deflazione” (la leggo sul Sole 24 ore, mica sul Tirreno), che tradotta significa “il basso aumento dei prezzi può causare una diminuzione dei prezzi”. Non ha proprio senso. Ma è gente obbediente, sicché, anche senza capirci nulla, battono lo stesso la grancassa, ripetono come un mantra “viva l’inflazione!”, “abbasso la deflazione!”, così, senza spiegare un tubo. Chissà cosa s’aspettano. Che a furia di ripetere il ritornello il pensionato vada a comprare un po’ di frutta e verdura, trovi i prezzi più alti, dica “toh, c’è di nuovo l’inflazione, che bello!” e torni a casa contento. Che il padre di famiglia si trovi a fine mese tutte le bollette aumentate e si metta a fare i salti di gioia, “è tornata l’inflazione, io non ho neanche la scala mobile, che bello!”. Ma va là.
Come al solito, non ce la contano giusta. Anzi, questa volta non ce la raccontano per niente, sono reticenti, starnazzano i loro slogan senza neanche una spiegazione e via! E non ci dicono un paio di cose essenziali.
Primo, che la deflazione non è una malattia che ci siamo beccati così, per sfiga, per un destino avverso o perché faceva freddo. L’hanno provocata loro – quelli che governano l’economia, dal FMI all’ultimo ministro del lavoro – con decenni di politiche restrittive.
Secondo, posto che delle politiche restrittive si siano finalmente pentiti, che le politiche espansive non si possono fare semplicemente invocando l’inflazione. Voglio dire, l’equazione che ci stanno propinando in questi giorni, deflazione = ristagno inflazione = crescita, è falsa se si saltano i passaggi intermedi. Perché crescano i prezzi, cioè ci sia l’agognata inflazione, deve crescere la domanda: allora ci sarà qualche speranza che le imprese tornino a investire e si avvii una ripresa. Ma per far crescere la domanda non basta imprestare soldi a pochino, come s’illude Draghi con la sua manovra sul tasso d’interesse: la gente non vuole indebitarsi dell’altro, le imprese non chiederanno prestiti per investire se non si aspettano una crescita della domanda. Siamo sempre lì.
E allora come si fa a far crescere questa benedetta domanda? Aumentando i redditi, specie quelli bassi che hanno maggiore “propensione al consumo”, come si dice. Ma… le pensioni non si può, se no l’INPS va gambe all’aria e l’Europa ci sgrida. I salari e gli stipendi nemmeno, se no le imprese non investono più… Allora aumentando la spesa pubblica. Ma… non si può, perché i parametri europei lo vietano.
Eppure è proprio quello che ci vorrebbe, la spesa pubblica. Se le autorità europee fossero meno schizofreniche. E se la spesa pubblica non venisse poi mangiata – come succede nel nostro paese – da tangenti, mazzette, cioccolate e ciliegine… tutta roba che non va in circolo, che non fa “moltiplicatore”, che finisce all’estero o nelle casseforti dietro il quadro in soggiorno, che rimane stipata in mazzette nelle fodere delle poltrone, ficcata in lingottini nei doppi fondi dei cassettoni, nascosta sotto le tavole del pavimento… Da sperare che gliela rubino, quella roba: girerebbe di più l’economia.

Maria Turchetto