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I SOLDI SOTTO IL MATERASSO

Ormai c’è la giornata mondiale di qualsiasi cosa: della memoria, dell’ambiente, dei nonni, della pace, del diabete, dell’amicizia, perfino del sonno e delle zone umide… Ogni giorno ne inventano una nuova. Ma ce n’è una vecchissima, quest’anno compirà 95 anni (è stata istituita nel 1924): la giornata mondiale del risparmio. Cade il 31 ottobre. Quando andavo alle elementari non c’era scampo: il 31 ottobre toccava il temino sull’argomento.
Non so se al giorno d’oggi il temino sul risparmio agli scolari lo danno ancora: ai giornalisti certamente sì. Nel nostro paese il titolo per il tema del 2018 suonava così: “gli Italiani tengono i soldi sotto il materasso”. I commentatori economici lo hanno diligentemente svolto e dibattuto durante la prima settimana di novembre. E se ne sono lette delle belle.
Succede spesso, i titoli dei temi si prestano a diverse interpretazioni. La Stampa, per esempio, l’ha interpretato alla lettera e se l’è presa con i 15 milioni di Italiani che non hanno un conto in banca: po’ po’ di trogloditi! E stupidi, per di più: non lo sanno che “l’inflazione divora i risparmi”? Peccato però, cara la mia Stampa, che in Italia l’inflazione non ci sia più da un bel pezzo. E peccato che, in mancanza dell’inflazione, ci abbiano pensato proprio le banche a divorare i risparmi. Oddìo, lo fanno un po’ sempre sui conti correnti: ti prendono un euro se fai un bancomat in una banca diversa, un paio se fai un bonifico, cinque ogni tanto per spedirti a casa estratti conto che non hai richiesto… Ma questo è un rosicchiare, più che un divorare. In questi ultimi anni invece hanno divorato proprio: fallendo, imbrogliando, rifilando titoli spazzatura…
Il Corriere della sera, invece, ha interpretato il titolo in senso metaforico: sostenendo che “il conto corrente è utilizzato come il vecchio materasso”, se l’è presa con gli Italiani che tengono i soldi sul conto corrente anziché “investire”. Un buon 62%, a quanto pare, contro un magro 33% di coraggiosi investitori. “È un comportamento atavico”, ha commentato un giornalista – come dire: razza di retrogradi. “Hanno un basso profilo di rischio”, ha sentenziato un’esperta di finanza – come dire: razza di allezziti.
Macché atavismo, macché profilo di rischio, cari i miei giornalisti ed esperti del Corriere. Ve lo spiego io come stanno le cose. Se date un’occhiata ai dati ISTAT (li trovate comodamente in rete) vedrete a colpo d’occhio che sommando famiglie a reddito basso, famiglie che mantengono disoccupati e anziani, famiglie di operai e impiegati in pensione, famiglie a reddito medio-basso si arriva subito a quel 62% di pavidi italiani che non investono. Ovvio: sono consumatori (se possono), non investitori. Investire significa usare i soldi per fare soldi, a questi qui, invece, i soldi servono per vivere. Se a fine mese avanzano qualcosa, lo tengono sul conto corrente: liquido e disponibile. Perché se ti si rompe la macchina, se il nonno s’ammala, se devi andare dal dentista quei soldini ti ci vogliono tutti. Ma cosa pretendete, che li giochino in borsa? o che più prudentemente – come consigliava un altro giornale – si facciano “un portafoglio metà di azioni e metà di obbligazioni, garantendosi così un rendimento del 3% nel lungo periodo”? Ma dài, macché “lungo periodo”! Noialtri dobbiamo arrivare a fine mese. Come diceva Keynes, che forse un tantino di più ci capiva: nel lungo periodo siamo tutti morti.

Maria Turchetto
Il Vernacoliere, gennaio 2019