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USCIRE DALL’EURO?
Scrive un lettore:
“In questi mesi è in corso una raccolta di firme per indire un
referendum al fine di uscire dall’euro, chiedo a Maria Turchetto cosa ne
pensa, al netto delle dovute considerazioni potrebbe essere la via
giusta da percorrere per l’Italia in questo momento?”
Ecco una domanda da un milione di dollari, come si dice. Cioè da 849.000
euro al cambio attuale. Cioè un miliardo e 698 milioni di vecchie lire.
Vecchie, vale a dire quelle con cui l’Italia è entrata nell’eurozona
nel 2001 – in realtà nel 1999, quando furono fissati e congelati i cambi
degli undici paesi allora costituenti l’UE, con una lira a detta di
tutti parecchio sopravvalutata. Di nuove lire, cioè di lire
reintrodotte nell’ipotesi di uscita dall’euro, ce ne vorrebbero molte di
più, perché a detta di tutti la nostra valuta subirebbe immediatamente
una forte svalutazione. A detta di tutti davvero: dei fautori come dei
detrattori dell’uscita dall’euro. Cambiano solo le previsioni: i primi
ipotizzano una svalutazione del 20-30%, i secondi addirittura del 50%.
Facciamo gli ottimisti, calcoliamo la svalutazione al minimo, al 20%. La
sua domanda, caro lettore, diventa una domanda da più di due miliardi di
lire. Due fantastiliardi, direbbe Paperon de Paperoni.
Ma il valore della sua domanda, caro lettore, è solo simbolico. Il
grosso problema è che aumenterebbe dal 20 al 50% anche il debito
pubblico che è stato contratto in euro. Il che significa che potremmo
uscire dall’euro solo dichiarando default o ricontrattando il
debito. Perché no? Ma c’è da chiedersi se i nostri partner europei ce lo
lascerebbero fare. Non dico che passerebbero subito all’occupazione
militare dell’Italia, come fece l’Inghilterra con l’Egitto nel 1882, ma
ho paura che comunque non la passeremmo liscia.
Con una svalutazione della lira, dicono i fautori dell’uscita dall’euro,
verrebbero rilanciate le esportazioni. Ma esportazioni di cosa, dico io?
Da quando facciamo parte dell’UE la nostra base produttiva è stata in
larga misura smantellata. Soprattutto è stata smantellata l’industria di
base: quel poco di industria che rimane importa materie prime e
semilavorati. E come si sa per le importazioni la svalutazione
rappresenta un grosso svantaggio… Dunque per questo motivo l’Italia
rischierebbe di non tornare affatto competitiva sul mercato
internazionale, mentre il mercato interno peggiorerebbe dell’altro per
l’ulteriore erosione dei redditi fissi.
Questo, secondo me, è il problema principale: l’entrata e l’uscita
dall’euro non sono mere questioni di economia monetaria, sono
questioni di economia reale. Entrare nell’eurozona – e
subirne la politica economica – ha rovinato la nostra economia reale.
Restarci, continua a rovinarla. Uscirne, la rovinerebbe
ulteriormente, almeno nei tempi brevi (ma, come diceva Keynes, nei tempi
lunghi siamo tutti morti).
Come vede, caro lettore, mi sono incartata (o si è incartata l’Italia?).
Non so rispondere alla sua domanda. Non mi beccherò il premio di due
fantastiliardi. Posso solo dirle che vorrei che la Germania
uscisse dall’euro, o che tutti i paesi europei uscissero
dall’euro, o almeno che l’Europa cambiasse politica. Ma perfino quest’ultimo,
temo, è un pio desiderio.
Maria Turchetto
Il Vernacoliere,
febbraio 2015
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