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Materiali del seminario "Nuovi studi althusseriani"
- Venezia, 26 giugno 2017
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Appunti su Oltre i limiti di Marx. Un confronto tra Negri e Althusser
di Irene Viparelli
Introduzione
Il libro Oltre i limiti di Marx. Un confronto tra Negri e Althusser è diviso in due parti: la prima si propone di sviluppare il confronto tra Negri e Althusser a partire dalla problematica della “crisi del marxismo”, centrale nelle riflessioni portate avanti da entrambi gli autori nella seconda metà degli anni ’70. La seconda parte del testo si concentra invece sugli scritti successivi, mettendo in relazione la proposta althusseriana del materialismo aleatorio con la ipotesi negriana di un’ontologia costituente.
PRIMA PARTE. LIMITI DI MARX
La riflessione sulla “crisi del marxismo” produce un inaspettato avvicinamento dei dispositivi teorici di Negri e Althusser, nella misura in cui entrambi riconducono i limiti della teoria marxiana a due nuclei problematici fondamentali: il metodo e la topica.
Limite metodologico
La
riflessione sulla problematica delle insufficienze del metodo marxiano permette
di mettere in luce una profonda prossimità negli approcci teorici di Negri e
Althusser. Per entrambi, infatti, il limite metodologico è, in ultima istanza,
riconducibile alla scelta marxiana di cominciare il Capitale con la
posizione immediata della legge del valore. Tale “astratto cominciamento”
esprime infatti, per entrambi gli autori, un “residuo di idealismo” che
rappresenta il nucleo teorico su cui si sono edificate le interpretazioni
economiciste, idealiste e revisioniste della teoria di Marx. Così, per Althusser,
la fondazione della teoria del plusvalore sull’unico presupposto del valore
rende possibile un’interpretazione “appena contabile” della teoria dello
sfruttamento, che astrae dalle complesse condizioni della riproduzione del
rapporto di classe e riduce lo sfruttamento alla semplice differenza
quantitativa tra tempo di lavoro necessario e pluslavoro. Parallelamente, per
Negri, è proprio il primo capitolo del Capitale che apre la strada alle
interpretazioni che pretendono di separare la legge del valore dalla teoria del
plusvalore, ipotizzando la possibilità di una presunta “giusta realizzazione”
del valore.
Come liberarsi di tale “residuo di idealismo”? Le proposte di Negri e Althusser
sono, anche in questo caso, molto vicine: la impossibilità dell’immediata
affermazione della relazione economica tra persone astratte si traduce per
entrambi nell’esigenza di porre la complessità reale – l’indissolubile vincolo
delle condizioni economiche, politiche e ideologiche della produzione – come
presupposto immediato dell’analisi. Così Althusser, nella Prefazione al libro di
G. Dumenil Le concept de loi économique dans “Le Capital, afferma che
«potrebbe esser fecondo cominciare non “dal semplice”, ma da una certa
complessità» (Althusser,
L., Solitude de Machiavel, PUF, Paris 1998, P. 263),
ovvero dalle molteplici ed eterogenee condizioni del darsi del rapporto
capitalistico di produzione. Così, parallelamente, Negri riconduce la
superiorità dei Grundrisse rispetto al Capitale al differente
inizio: cominciare con la sezione “Denaro” significa rifiutare ogni astratta
posizione della legge del valore, per strutturare l’analisi critica sul
presupposto concreto della società capitalistica sviluppata, in cui il rapporto
di capitale si pone immediatamente come relazione economico-politica tra
soggettività antagoniste.
Il confronto tra le due critiche al metodo marxiano mette quindi in luce una medesima esigenza epistemologica: bisogna dissolvere il metodo marxiano della Darstellung e definire la complessità non appena come “concreto del pensiero”, risultato del processo di appropriazione teorica della realtà, ma soprattutto come immediato “presupposto dell’analisi”.
Limite
topico
La
riflessione sul “limite topico” rivela, oltre gli elementi di prossimità tra i
due dispositivi teorici, l’irriducibilità delle prospettive di Negri e Althusser.
Se, infatti, è indubbio che la problematica della topica si pone, in entrambi i
casi, come effetto teorico fondamentale della critica metodologica, della presa
di coscienza dell’impossibilità di separare la dimensione economico-produttiva
dalle sue effettive condizioni di esistenza; è altrettanto vero che l’approccio
dei due autori è radicalmente eterogeneo. Per Althusser, il superamento dei
limiti della rappresentazione topica della società impone un duplice movimento
di riformulazione dei concetti di struttura e sovrastruttura e di inversione dei
loro rapporti. Per Negri, invece, le trasformazioni nei presupposti della
valorizzazione del capitale contemporaneo impongono il definitivo abbandono del
binomio struttura-sovrastruttura.
La riformulazione althusseriana del concetto di struttura è una esigenza che
nasce direttamente dalle riflessioni critiche sui limiti metodologici della
teoria marxiana: se il rapporto produttivo non può esser posto astrattamente,
allora il processo di produzione deve necessariamente esser pensato in seno alla
totalità delle pratiche sociali che definiscono le condizioni della sua
riproduzione. Così il concetto di “struttura” si espande fino a comprendere la
totalità delle pratiche sociali, in quanto luoghi della continua produzione e
riproduzione della relazione antagonista di classe. Parallelamente la
definizione dello Stato come «grande mistificazione oggettiva» (L. Althusser,
Marx nei suoi limiti, a Mimesis, Milano 2004, p. 136), impone la
riformulazione del concetto di sovrastruttura: il dislocamento
dell’analisi sullo Stato dal piano della politica a quello dell’ideologia pone i
processi di feticizzazione del reale, i meccanismi di rimozione del nucleo
antagonistico della produzione e di mistificazione della relazioni sociali, come
nucleo della funzione riproduttiva dello Stato.
Infine, la riformulazione dei due termini porta ad una paradossale inversione
dei loro rapporti: «Il processo di produzione deve anche lui (per non restare
astratto), essere riconosciuto come momento decisivo del processo di
riproduzione» (Althusser, L., Marx nei suoi limiti, cit., p.
68). Così come la pratica propriamente produttiva, per non restare astratta,
deve esser pensata in connessione con le partiche sociali che ne rendono
possibile la sua effettiva esistenza storica; così, parallelamente, il congiunto
delle pratiche sociali, per non restare astratto, deve esser pensato a partire
dai processi statali di feticizzazione del reale che rendono possibile la
riproduzione delle pratiche attraverso la mistificazione dell’antagonismo.
La principale conclusione della riflessione althusseriana sui limiti della
“topica” di Marx è la definitiva dissoluzione dell’ipotesi marxista-leninista di
una tendenza rivoluzionaria della dialettica storica: se l’antagonismo deve
essere pensato a partire dai processi della sua rimozione-mistificazione, allora
necessariamente perde il suo potenziale rivoluzionario e diventa un elemento
interno alle società capitalistiche e pienamente compatibile con i processi
riproduttivi. A partire da qui, da questa definitiva chiusura del divenire
storico all’ipotesi rivoluzionaria, si danno essenzialmente due possibilità
ermeneutiche: o si interpretano gli scritti di Althusser sul “materialismo
aleatorio” come espressione della definitiva rinuncia all’ipotesi
rivoluzionaria; oppure si legge il “ritorno alla filosofia” come un tentativo di
rifondare la teoria rivoluzionaria oltre la dialettica di capitale, sul terreno
ontologico.
In Negri la riflessione sui limiti della rappresentazione topica della società
porta ad una definitiva dissoluzione dei suoi termini costitutivi. La crisi
internazionale dell’inizio degli anni ´70 è letta da Negri come effetto della
realizzazione storica della legge, fino ad allora solo tendenziale, della caduta
del saggio di profitto. La radicalità dell’antagonismo dell’operaio massa,
infatti, imponendo un progressivo aumento del tempo di lavoro necessario, aveva
progressivamente dissolto ogni margine per l’estrazione del plusvalore. Il
capitale aveva risposto alla crisi ristrutturandosi, definendo nuove condizioni,
non più economiche ma eminentemente politiche, della sua valorizzazione (Stato-crisi).
Parallelamente, la forza dell’operaio massa si era espansa alla totalità delle
relazioni sociali, generalizzando l’antagonismo; era così emersa la nuova figura
antagonista dell’operaio sociale, espressione della definitiva autonomizzazione
delle forze produttive dal rapporto di capitale.
Tale nuova forma della relazione del capitale con le forze produttive (Stato
crisi/operaio sociale) esprime, per Negri, la dissoluzione della sovrastruttura
e l’assolutizzazione del piano strutturale. Da un lato, infatti, l’autonomizzazione
delle forze produttive implica la acquisizione di una capacità riproduttiva
autonoma che impone alla separazione dello strutturale-produttivo rispetto alle
relazioni capitalistiche di produzione e di dominio. Dall’altro, parallelamente,
la trasformazione del capitale in forza politica, in comando, impone la fine di
ogni trascendenza sovrastrutturale: solo immergendosi nel sociale, solo
inseguendo quella forza produttiva generalizzata che continuamente sfugge al
controllo il potere capitalistico riesce a definire le condizioni della sua
riproduzione storica. Così, mentre il concetto di struttura produttiva si ampia
fino a diventare una realtà ontologica (un assoluto piano di immanenza), il
concetto di sovrastruttura parallelamente si svuota di ogni contenuto.
Conclusioni
La prima parte di Oltre i limiti di Marx si conclude con la formulazione di due ipotesi di lavoro, che definiscono le problematiche fondamentali affrontate nella seconda parte: 1) L’impossibilità di un processo di emancipazione in seno alla dialettica di capitale spinge Negri e Althusser a spostare la teoria rivoluzionaria sul terreno ontologico, oltre il piano “ontico” dei rapporti capitalistici di produzione. 2) I differenti presupposti dell’analisi – primato althusseriano della riproduzione versus postulato negriano dell’autonomia produttiva – si traducono in due proposte ontologiche prossime, ma fondamentalmente irriducibili.
SECONDA PARTE: OLTRE MARX
Introduzione
L’interpretazione del materialismo aleatorio come ontologia costituente è indubbiamente debitrice alla lettura che lo stesso Negri ha dato dell’“ultimo Althusser” nel suo saggio Pour Althusser. Notes sur l’évolution de la pensée du dernier Althusser, (in AA. VV. Sur Althusser. Passages, L’Harmattan, Paris 1993). L’attitudine teorica adottata in Oltre i limiti di Marx è però opposta poiché, lungi dal cercare di dimostrare una vicinanza di Althusser con la prospettiva operaista, si vuole piuttosto cogliere, proprio a partire dai punti di prossimità tra le due prospettive teoriche, la “differenza specifica” tra i due dispositivi; le ragioni ultime della loro essenziale irriducibilità.
Prossimità
Quali i
punti di un possibile incontro tra le due prospettive teoriche?
Per quanto riguarda Althusser, è indubbiamente nelle ultime pagine su
Machiavelli. raccolte nella cartella L’unica tradizione materialista,
dedicate alla descrizione del mondo contemporaneo, che si scorge un
avvicinamento all’ontologia negriana. Qui, infatti, Althusser descrive la
globalità capitalista come una realtà priva di centro, caotica, irrazionale,
destrutturata, in cui l’autonomizzazione delle pratiche sociali dai vincoli
strutturali esprime la dissoluzione ogni principio di razionalizzazione e
unificazione trascendentale dell’essere sociale. Parallelamente, Althusser
rinuncia ad ogni centralità dello Stato, per descrivere il potere come una
“cappa ideologica contraddittoria”, massimamente astratta e irrazionale, che
garantisce la persistenza del dominio non attraverso la definizione delle
condizioni della riproduzione dell’unità strutturale, ma piuttosto attraverso
l’interruzione di ogni determinazione di senso; attraverso il “blocco” del
passaggio dagli incontri contingenti e aleatori tra le pratiche sociali alla
loro “presa”. Con Negri, quindi, Althusser ci offre una rappresentazione della
contemporaneità come realtà in cui l’autonomizzazione delle pratiche sociali dai
vincoli strutturali rappresenta il risvolto della medaglia dell’irrazionalità e
dell’arbitrio di un potere capitalistico che ha ormai rinunciato ad ogni
“funzione progressiva”.
Parallelamente, la rappresentazione negriana del processo rivoluzionario come
passaggio della potenza costituente dalla virtualità alla realtà attraverso il
possibile ricalca indubbiamente il movimento althusseriano vuoto-incontro-presa.
Tale “triade”, infatti, descrive le tre fasi della liberazione dei soggetti: 1)
Parallelismo/virtualità: fase iniziale dell’incomunicabilità delle singole lotte
particolari; 2) Incontro/possibilità: momento insurrezionale della congiunzione
delle lotte (kairós rivoluzionario); 3) Presa/realtà: momento della
istituzionalizzazione dei processi costituenti.
Irriducibilità
I
differenti presupposti dell’analisi non permettono che i punti di prossimità tra
Negri e Althusser si traducano in analoghe proposte ontologiche. Mentre,
infatti, il primato althusseriano della riproduzione sulla produzione dà luogo
ad un’“ontologia del vuoto costituente”; il postulato negriano dell’autonomia
delle forze produttive rappresenta il nucleo di un’ “ontologia del pieno
costituente”.
In Althusser, il principio di sottomissione della produzione alla riproduzione
impone di leggere la autonomizzazione delle pratiche sociali dai vincoli
strutturali in funzione della trasformazione del potere in “cappa ideologica”.
Conseguentemente, la liberazione delle pratiche sociali, la concretizzazione
storica della contingenza, lungi dall’esprimere il nucleo democratico
dell’essere sociale, lungi dal rappresentare una realtà immediatamente
costituente, esprime piuttosto la piena affermazione del “non senso”
dell’essere, la più completa realizzazione della logica feticistica del potere.
Così, il mondo contemporaneo della “fine dell’ideologia” esprime la dissoluzione
della determinazione trascendentale del senso dell’essere e di ogni razionalità
del potere e la massima affermazione della schiavitù, della passività e della
subordinazione dei soggetti. La rappresentazione dello spazio ontologico come
“vuoto” è una conseguenza necessaria di tale assolutizzazione della logica del
dominio: nel momento in cui la socialità si identifica tout court con la
dimensione dell’assoggettamento, solo la separazione dalla socialità e la
conquista del vuoto, il trascendimento spinoziano dalla Lebenswelt e
l’affermazione della solitudine ontologica possono ancora produrre una
soggettività attiva, in grado di liberare le pratiche sociali destrutturate
dalla “cappa” e ricongiungerle con il loro vuoto costitutivo.
Il postulato negriano dell’autonomia delle forze produttive sociali implica
un’interpretazione assolutamente opposta della storicizzazione contemporanea
della contingenza dell’essere. L’autonomizzazione delle forze produttive
sociali, infatti, non si traduce in un universo massimamente improduttivo ma
invece in un’indefinita riproduzione di una eccessività costituente, di una
smisurata potenza creatrice che continuamente produce senso, socialità,
democrazia. Conseguentemente, nonostante l’apparente vicinanza, la
rappresentazione del processo rivoluzionario come
parallelismo-insurrezione-istituzionalizzazione è irriducibile al meccanismo
althusseriano di parallelismo-incontro-presa. Se, infatti, il vuoto
althusseriano definisce propriamente la “presa” come il luogo della
determinazione del senso (l’ontologia è posta come risultato di un processo che
si dà nel vuoto di presupposti); il parallelismo negriano delle lotte è invece
immediatamente una realtà costituente, espressione di una razionalità
dell’essere assolutamente democratica. Conseguentemente il movimento
parallelismo-insurrezione-presa non indica la definizione delle condizioni per
l’affermazione di una pratica costituente; ma piuttosto i processi di
trasformazione e metamorfosi di una soggettività costituente e democratica che è
già sempre in azione.
Aporie
Althusser
riconosce fondamentalmente quattro “soggettività” che possono liberarsi dalla
“schiavitù dell’immaginazione” e conquistare la solitudine ontologica:
l’analista, il materialista, il Principe e il dirigente di Partito. Ed è proprio
qui, in questa inserzione del dirigente di Partito nelle figure della
liberazione, che è possibile ipotizzare una nuova e non concettualizzata
“ipotesi di Partito”, che farebbe indubbiamente emergere una continuità tra le
riflessioni politiche sul Partito, portate avanti da Althusser nella seconda
metà degli anni ’70, e gli scritti sul materialismo aleatorio. Il nuovo Partito
rivoluzionario, infatti, dovrebbe rappresentare proprio quel soggetto politico
autonomo, separato dallo Stato, che si pone “all’ascolto” delle masse per
liberare gli incontri dalla cappa ideologica e per riaffermare la possibilità
della produzione del senso.
Il passaggio dalle figure individuali della liberazione alla nuova ipotesi di
“Partito” resta però aporetica, nella misura in cui Althusser non si preoccupa
di determinare le condizioni del passaggio dal “dirigente-analista-materialista”
al Partito, dalle figure individuali della liberazione ad una realtà strutturata
che tende a riprodurre, nella sua propria struttura, le forme dominanti del
potere.
La rappresentazione negriana del processo rivoluzionario come movimento
parallelismo/insurrezione/istituzionalizzazione delle lotte è anch’esso
aporetico. Negri, infatti, per sfuggire ad ogni teleologia, concepisce il
processo rivoluzionario come una delle due alternative aleatorie fondamentali
della contemporaneità, cui si oppone l’ipotesi di un’indefinita ripetizione del
movimento di espropriazione capitalista della potenza produttiva del soggetto
biopolitico. Un aut aut che individua un nucleo essenzialmente “duale”
della contemporaneità, ma che risulta esser contraddittorio rispetto al
principio della “differenza ontologica”. I processi di assoggettamento del corpo
biopolitico al potere del capitale, infatti, sono l’effetto dell’intervento
“dall’esterno” del capitale nel processo produttivo autonomo; della ripetuta
rottura capitalistica della continuità dei processi dell’istituzionalizzazione
della democrazia. Il processo rivoluzionario, conseguentemente, non può mai
procedere “fino alla fine”, poiché il passaggio all’istituzionalizzazione è
continuamente bloccato dall’espropriazione capitalistica del Comune e dalla sua
istituzionalizzazione mistificata. Il “fare moltitudine”, il “divenire Principe”
della moltitudine, l’effettualità della rivoluzione, si presenta quindi come un
processo inesorabilmente incompiuto, incapace di compiere il passaggio
dall’insurrezione all’istituzionalizzazione della potenza democratica della
moltitudine.
Il rilevamento di un “nucleo aporetico” in entrambi i dispositivi teorici porta
alla formulazione di un’ultima ipotesi di lavoro, che rappresenta la conclusione
fondamentale del testo: e se il confronto tra i due autori diventasse davvero
produttivo proprio dislocandosi sul terreno aporetico? E se i due concetti di
“riproduzione” (l’ontologico di Negri e l’ontico di Althusser), più che opposti,
si rivelassero invece complementari? E se si provasse a conciliare l’ “ipotesi
di Partito” althusseriana con il paradigma costituente
negriano?